Santi e calendari

Siete in Piazza Maggiore, comodamente seduti sul “crescentone”, con le spalle rivolte verso la Basilica di San Petronio. Prima di iniziare a chiedervi chi e cosa andate su Wikipedia e leggete (magari non tutta) la biografia di Santa Teresa D’Avila. 

Deceduta nella notte tra il 4 e il 15 ottobre del 1582. 

Un momento, che succede? Perché la notte del 4 ottobre di quell’anno è durata così tanto?

Alzate lo sguardo verso Palazzo d’Accursio. Vi presento Gregorio XIII, il papa che ha cancellato una settimana dalla storia! 

Stiamo parlando proprio di quel Gregorio, quello del calendario gregoriano, tutt’oggi in uso. 

I Bolognesi sono soliti chiamare “crescentone” la pavimentazione sopraelevata in Piazza Maggiore

Prima di spiegarvi nel dettaglio il perché di questa scelta funesta, dovrei dirvi perché sopra la testa del papa, nato a Bologna come Ugo Boncompagni, è posta un’iscrizione che recita:

Divus Petronis Protector et Patris

Dunque, siamo sicuri che non si stia parlando del santo patrono? 

Non c’è ombra di dubbio, sulla testa di quella statua, opera di Alessandro Menganti detto il Michelangelo incognito (1525-1594), c’è una tiara (o triregno), l’antico simbolo papale che indicava il triplice potere del pontefice:  Padre dei principi e dei re, Rettore del mondo, Vicario di Cristo in Terra. Quello è proprio un papa e non il vescovo Petronio. 

Facciamo luce su questa serie di stranezze. 

Con l’entrata delle truppe napoleoniche a Bologna (19 giugno 1796), la città è finalmente libera dal vessillo papale. Da una parte, la fiducia del popolo speranzoso di vedere i colori di una patria tutta ancora da costruire; dall’altra, il timore che la statua venisse distrutta. L’ideologia rivoluzionaria d’oltralpe era ostile alla religione e avversa ai simboli del potere religioso. Fu in quel frangente che i bolognesi camuffarono la statua in maniera tale che sembrasse San Petronio (vescovo nel IV secolo). Sostituirono la tiara con la mitra vescovile, aggiunsero un pastorale (in seguito rimosso) e la lapide di cui parlavamo prima.

Ora che abbiamo capito di chi si parla, è il momento di capire le ragioni del perché il 5 ottobre di quell’anno il mondo si è svegliato catapultato dieci giorni in avanti. 

Fino a quel giorno il calendario non era mai stato modificato dai tempi di Giulio Cesare. Elaborato dall’astronomo Sosigene di Alessandria e promulgato da Giulio Cesare nel 46 a.C., fu in vigore anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Nei secoli si diffuse per tutti i territori d’Europa e durante il secolo delle grandi navigazioni anche nelle Americhe. 

Il calendario giuliano approssima a 365 giorni e 6 ore la durata dell’anno astronomico (365 giorni 5 ore 48 minuti 49 secondi). Nel 1582, malgrado l’introduzione degli anni bisestili, il ritardo accumulato era di quasi 10 giorni. 

A questo si aggiunge la decisione presa durante il Concilio di Nicea (326 d.C.) riguardo la festività più importante per il Cristianesimo (Pasqua), celebrata da allora nella domenica successiva alla prima luna piena della primavera (che ha inizio con l’equinozio). Senza un intervento, la primavera sarebbe arrivata sempre meno in concomitanza con il risveglio della natura.

La poderosa opera di riforma, che coinvolse molti astronomi, fu promossa da papa Gregorio XIII e culminò con la promulgazione del Calendario Gregoriano. Dopo aver determinato con la massima precisione il valore reale del numero di giorni contenuti in un anno, fu trovato il modo di approssimare ancora meglio rispetto al calendario giuliano. Eliminando tre anni bisestili ogni 400 anni si otteneva una differenza tra calendario e anno astronomico di appena 26 secondi.

Bolla papale Inter Gravissimas e Ritratto di Gregorio XIII

Per noi che ne parliamo a fatti compiuti, può sembrare una cosa da niente togliere qualche giorno dal calendario, non era lo stesso per i ceti popolari che organizzarono delle sommosse atte a rivendicare i loro diritti su quei 10 giorni di salario. Alcuni paesi dovettero aspettare il XX secolo per la sua adozione e ad oggi la Chiesa ortodossa lo usa ancora per regolare le date delle festività religiose. 

A proposito di feste religiose, c’è una santa particolarmente cara alle nostre tradizioni perché associata all’apertura dei mercatini di Natale e presa come punto di riferimento per la preparazione dei dolcetti natalizi, stiamo parlando di Santa Lucia, e anche nella sua memoria sono contenute le tracce dei tempi che cambiano. 

Il detto dice: Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia.

La rima può sembrare strana dal momento che la martire non è celebrata in occasione del solstizio d’inverno. I detti sono forse l’unica cosa che veramente sopravvive al flusso della storia; infatti, prima della riforma gregoriana, l’inverno aveva inizio proprio nel giorno di Santa Lucia: il 13 dicembre.

È presto per i dolcetti di Natale, per ora, Buon San Petronio! (ai bolognesi)

Roberto Caione

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