Grandi dibattiti

Dalle dimensioni dell’Universo al rapporto tra Scienza e Fede

Sotto ogni punto di vista il ventesimo è stato un secolo pieno di botti, e non solo quelli udibili dalle trincee durante i due conflitti mondiali. Il Novecento infatti si è aperto in un’atmosfera di crisi e, allo stesso tempo, di rinnovamento del sapere; da notare come spesso nella storia le due cose vadano di pari passo. Le nuove scuole di pensiero filosofico, la nascita della psicoanalisi  e le teorie che mettono in discussione le certezze della scienza, hanno scosso non poco l’intelletto umano.

Dal punto di vista scientifico si sono avute delle rivoluzioni senza eguali sia per quanto concerne il microcosmo, inteso con tutto ciò che esiste a dimensioni subatomiche, sia per quanto riguarda il macrocosmo, inteso con tutto ciò che ci circonda, dal pianeta Terra fino  ai “confini” dell’universo. 

Con la pubblicazione della Relatività Ristretta (1905) e della Relatività Generale (1915), Albert Einstein (1879-1955) osò sfidare una teoria rimasta immutata per secoli nelle sue leggi fondamentali, ossia la Legge di Gravitazione Universale elaborata da Isaac Newton (1643-1727). Già diversi secoli addietro alla Terra era stata negata ogni possibilità di trovarsi al centro dell’universo; lo stesso discorso dicasi per il Sole che, col passare dei secoli, ha perso il suo ruolo “divino” essendo quest’ultimo solo una delle circa 400 miliardi di stelle all’interno della nostra galassia, la Via Lattea. 

Intorno al 1920, tra gli astronomi Harlow Shapley (1885-1972) ed Heber Curtis (1872-1942), si consumò quello che è passato allo storia come “Il grande dibattito”, il cui contenuto aveva a che fare con le dimensioni effettive dell’universo. Il primo sosteneva che la Via Lattea coincidesse con l’intero universo, e che tutto ciò che si poteva vedere in cielo fosse contenuto in essa, il secondo invece ipotizzava che la galassia così pensata fosse solo una delle tante isole-universo e che alcune delle strutture osservate, dall’aspetto nebulare, fossero altre galassie esterne alla nostra, allargando notevolmente i confini del cosmo.

The Great Debate

Harlow Shapley (1885-1972) ed Heber Curtis (1872-1942) protagonisti  del “Grande Dibattito” sulla natura della Via Lattea.

Ogni dubbio è stato sciolto quando l’americano Edwin Powell Hubble (1889-1953) osservò una variabile cefeide in una nebulosa scoprendo che tale oggetto si trovava ben oltre ai limiti della Via Lattea. Ed infatti quella che Hubble osservò non era affatto una nebulosa, era quella che oggi conosciamo come galassia di Andromeda (M31); determinandone la distanza con sufficiente precisione smentì la teoria sostenuta da Shapley. L’annuncio di questa scoperta rivoluzionaria fu dato il 30 dicembre 1924. L’uomo doveva rinunciare completamente all’idea di un’eventuale posizione privilegiata all’interno dell’Universo. 

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Hubble (1889-1953) presso l’osservatorio di Monte Wilson (Los Angeles). Il suo arrivo fu all’incirca contemporaneo al completamento del telescopio Hooker, all’epoca il più potente del mondo. Allo scienziato americano è intitolato il telescopio più famoso dei nostri tempi, l’Hubble Space Telescope.

Nel tentativo da parte di Hubble di classificare le varie galassie (la classificazione di Hubble è tuttora usata seppur con le dovute precisazioni) lo scienziato ebbe modo di fare un’altra scoperta sensazionale (1929). Dalle sue osservazioni Hubble scoprì che le galassie si allontanano tra loro e da noi. Anzi, dai suoi dati, emerse la presenza di una legge empirica tra la distanza di una galassia e la sua velocità di recessione; in sostanza Hubble scoprì che più distante è la galassia osservata più velocemente si allontana dall’osservatore, scaraventando l’uomo sul concetto di universo in espansione.

Sulla scia di queste straordinarie scoperte, nel 1927 Georges Henri Joseph Édouard Lemaître (1894 – 1966), una delle menti più brillanti del ventesimo secolo, pubblicò un articolo per una rivista della Società Scientifica di Bruxelles presentando una nuova teoria, quella dell’Atomo Primigenio. L’idea di un universo in espansione fu un’intuizione che venne al gesuita, studiando con attenzione le Equazioni di Einstein e poi le osservazioni fatte nel ventesimo secolo dagli astronomi che usavano potentissimi telescopi. In generale si tratta di una teoria secondo la quale tutto ciò che esiste, l’Universo stesso, lo spazio e il tempo, in origine fosse concentrato in un punto estremamente denso. Nello spazio paragonabile alle dimensioni di un atomo è contemplato un brodo primordiale di particelle elementari che avrebbe portato dopo miliardi di anni alla nascita delle galassie e poi della stessa umanità. Probabilmente questi concetti suoneranno familiari, dal momento che stiamo parlando di quella che oggigiorno è conosciuta come Teoria del Big Bang.

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Rappresentazione artistica di una fetta di universo osservata dal telescopio spaziale Hubble. Si distinguono le diverse epoche cosmiche che hanno segnato l’evoluzione dell’universo dal Big Bang fino ad oggi.

Le teorie scientifiche raramente sono partorite da una sola mente, infatti Lemaître fu il primo a suggerire questa teoria ma non fu l’unico, molti nomi sono legati a questa scoperta e altri sono ricordati come degli acerrimi oppositori. Ad essere onesti il termine Big Bang nasce per scherno, nessuno ci credeva, ecco perché Fred Hoyle lo additò come “Teoria del grande botto” per metterla in ridicolo e non per renderla famosa come poi è accaduto. Hoyle sosteneva infatti che l’universo si trova in uno stato stazionario e quindi non in espansione. Costui ha contrastato l’idea con tutto se stesso fino agli ultimi anni della sua vita, terminata nel 2001. 

Parlare di Big Bang partendo da colui che per primo ci ha pensato offre uno spunto molto interessante su cui argomentare. Potrebbe sicuramente destare un po’ di curiosità il fatto che George Lemaître, oltre che scienziato, fosse un prete. Un uomo con in poppa il vento della fede e della scienza, un connubio abbastanza ostacolato nella storia degno anch’esso del titolo di “grande dibattito”. Nella breve riflessione che segue non si cercherà di dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio, tanto meno si proverà a convincere qualcuno riguardo queste ultime. Si cercheranno di illustrare le motivazioni per cui non risulta contrastante avere una mentalità analitica e quindi scientifica senza rinunciare alla fede e viceversa. 

Ai tempi di Lemaître  gli scienziati credevano in un Universo statico ed eterno, dato che si trattava di un prete molti pensavano che volesse dimostrare alcune delle verità contenute nella Bibbia, tant’è che Einstein lo liquidò con molta sufficienza (nonostante fosse credente). Hoyle ammoniva esplicitamente la Teoria del Big Bang come un dogma di causalità in linea con la teologia occidentale piuttosto che con la scienza.

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George Lemaître incontra Albert Einstein a Bruxelles, dove lo scienziato si era recato per partecipare al Congresso Solvay del 1927.

Le osservazioni di Hubble provarono che le galassie si allontanano le une dalle altre come i punti disegnati su un palloncino che viene gonfiato. La prova definitiva arrivò con la scoperta della radiazione cosmica di fondo, ipotizzata da Alpher, Bethe e Gamow (Da notare come i nomi dei tre scienziati ricordano le prime tre lettere dell’alfabeto greco, coincidenza? No, ma di questo ne parleremo un’altra volta). Nel 1948 viene scoperta un’impronta fossile di calore che si trova in ogni direzione dello spazio. Due astronomi, Penzias e Wilson se ne accorgono nel 1964 e nel 1978 ricevono il premio Nobel per la fisica. Lemaître ebbe la conferma solo sul letto di morte, infatti morì nel 1966, ad un anno dalla scoperta da parte dei due scienziati americani. 

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Mappa della radiazione cosmica di fondo a microonde. Considerata un’impronta della luce primordiale dell’universo così come appariva 380 mila anni dopo il Big Bang. Credit: ESA e Planck Collaboration

Da credente e religioso, Lemaître, ha dato un contributo destinato a sconvolgere per sempre la nostra concezione di Universo. Era dai tempi di Galileo Galilei (1564-1642) e Johannes Kepler (1571-1630) che l’umanità non riceveva una scossa del genere. Una scossa tanto forte che alcuni se ne avvalgono per demolire il concetto di creazione o di intervento divino, ma come stanno veramente le cose? 

Per rifarci ancora una volta al pensiero di padre Georges, lui era convinto che non si potesse usare la scienza per provare la fede, era un profondo sostenitore del fatto che la scienza e la religione sono due argomenti distinti che seguono percorsi altrettanto distinti, così si oppose vivacemente ad ogni tentativo di far coincidere la sua idea con quella della creazione. Per lo scienziato gesuita la creazione è tutt’altra cosa: secondo lui non si doveva strumentalizzare la scienza in favore della religione, tenendo conto che vale anche il discorso contrario, non si può strumentalizzare la scienza per cercare di distruggere la religione. Il pericolo, infatti, risulta quello di fare della scienza una religione, ma così facendo si prende una decisione non scientifica. Quando si tocca il tema di Dio, la sua esistenza o non esistenza, lo scienziato sta facendo il teologo e non lo scienziato. Ha tutto il diritto di farlo come persona pensante ma, non sta applicando il metodo scientifico, sta facendo filosofia e ne sta esplorando un ramo ben preciso, la metafisica.

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Georges Lemaître durante una lezione di cosmologia presso la facoltà di Scienze dell’Università Cattolica di Leuven.

La scienza non può provare l’esistenza di Dio perché la fede semplicemente non ricade sotto il metodo scientifico, dunque, cercare di usare la scienza a favore o a sfavore della religione potrebbe farci perdere del tempo prezioso. Nell’ottica in cui l’individuo è considerato un unicum, chiunque si ritrovi a fare lo scienziato potrebbe porsi la domanda su Dio o interrogarsi sul problema del bene e del male. Viceversa, una persona profondamente religiosa può interessarsi alla scienza. L’incastro tra i due pezzi quindi si ottiene nella misura in cui si cercano le risposte giuste con lo strumento adatto, partendo dal presupposto che né la scienza né la fede hanno una risposta per tutte le domande che la mente riesce a porsi.

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Lo studio del microcosmo e del macrocosmo giungono alla medesima conclusione: in principio era il caos. “La creazione del firmamento”, particolare del mosaico che compone la Cattedrale di Monreale (XII-XIII sec)

A questo punto risulta chiaro come sia necessario tracciare una linea di demarcazione tra le due cose con un’analogia: non si può giocare contemporaneamente con le dame o con gli scacchi, anche se entrambi si muovono sullo stesso terreno di gioco. Dare due risposte diverse, a due domande diverse, non ci mette pertanto nella condizione di dover scegliere tra uno o l’altro e di questo ne era profondamente convinta anche Margherita Hack (1922-2013). L’astronoma, fiorentina di nascita e triestina in pectore, non perdeva occasione per ricordare la sua posizione di scienziata atea. In un dialogo con Pierluigi Di Piazza (sacerdote e suo carissimo amico) si esprime in questi termini: “La scienza prova come è fatto l’universo, ma non perché esiste”. Quanto espresso dalla Hack calza a pennello con la visione dello scienziato prete, il quale affermava: “Esistono due vie per arrivare alla verità e ho deciso di seguirle entrambe; niente del mio lavoro, niente di ciò che ho imparato negli studi di scienza e religione ha cambiato la mia opinione. Non ho conflitti da riconciliare. La scienza non ha cambiato la mia fede religiosa e la religione non ha mai contrastato le conclusioni ottenute con i metodi scientifici”.

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“La scienza non riesce a dare una risposta totale. Quindi il mistero c’è certamente. Se quando morirò dovessi scoprire che c’è la vita eterna, direi a Dio che ho sbagliato. E forse tutto sommato, sarebbe bello essersi sbagliati.” Margherita Hack

Secoli addietro anche il buon Galileo si era posto il problema. A proposito dei suoi avversari che ritenevano erronea la teoria copernicana, perché contrastante con quanto affermato nelle scritture, nel 1615 scriveva in una lettera (a Madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana) che occorre prima di tutto saper interpretare i testi sacri. Dopo aver riportato un’ampia citazione di Sant’Agostino circa l’intento dello Spirito Santo in quanto ispiratore della Bibbia, la quale si conclude con “Lo spirito di Dio non volle insegnare agli uomini cose che nulla avrebbero giovato alla salvezza” , lo scienziato pisano aggiunge: “Intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, l’intenzione dello Spirito Santo essere di insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”.

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Galileo Galilei (1564-1642) è stato un fisico, astronomo, filosofo, matematico e accademico italiano. È considerato il padre della scienza moderna.

Magari un giorno la scienza, basandosi su dei paradigmi estremamente diversi e lontani da quelli su cui si fonda ora, riuscirà a dare risposte su certi aspetti della fede ma allo stato attuale delle cose nessuna delle due vie è in grado di dire qualcosa di utile o contrastante sull’altra.

Roberto Caione

 

 

 

 

È mio piacere ringraziare personalmente l’amico Giovanni Gandolfi. Parlare con lui di queste tematiche mi ha permesso di aggiungere delle importanti sfumature alla riflessione riportata sopra e, con mio auspicio, a quelle che verranno in seguito. 

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6 risposte a Grandi dibattiti

  1. Josely ha detto:

    Semplicemente magnifico!!!!!!

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  2. Furio ha detto:

    Pienamente d’accordo sul fatto che scienza e fede siano tutt’altro che antitetiche, come molto ben spiegato in questo articolo

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  3. Jean leonnel ha detto:

    Molto interessante!!
    Complimenti R. CAIONE

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  4. Federico ha detto:

    Molto interessante!

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  5. Quirizio ha detto:

    Molto interessante, forse il migliore di tutto il blog, quasi al livello degli articoli sui pianeti!!

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  6. Enrico ha detto:

    Davvero bellissima e vincente visione sul delicato rapporto tra scienza e fede. Articolo nel suo complesso di scorrevole, piacevole e accattivante lettura. Pochi uomini di scienza come te hanno la bellissima dote di divulgatore scientifico.

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